28 Novembre 2021
Le città sono nel pieno di uno tsunami. Perché la consegna delle merci vuole sempre più spazio, per organizzarsi e tenere il passo del consumatore. È la fine del commercio tradizionale e di prossimità? No, non tutto è perduto. Anzi.
Ne parlo con Marco Mazzarino professore associato di Transport Geography, Logistics and Supply chain management all’Università Iuav di Venezia.
Marco, cosa sta succedendo nelle città?
La premessa è d’obbligo. Siamo nel pieno di uno tsunami, le cui proporzioni sono già chiare: ci piace maledettamente comprare on-line (io poco, il giusto) e lo facciamo sempre di più. E questo ha degli effetti pesantissimi su come si organizza lo spazio attorno a noi.
La pandemia ovviamente ha dato una spinta incredibile a qualcosa (la logistica) che era già per certi versi in grande difficoltà. Ragioniamo di logistica, ultimo miglio, ottimizzazione e tutto il resto. Ma il fenomeno riguarda il nostro modello di consumo, il resto si adegua e cerca di tenere il passo.
Il sistema delle consegne riesce a stare in piedi?
Paradossalmente, in tutto questo, la logistica si organizza alla bene e meglio, in un contesto che sembra non interessare a nessuno. E mi piace guardare il bicchiere mezzo pieno: il sistema regge e funziona ancora! Non bene, ma funziona.
Quanto è sotto stress il settore delle logistica in città?
L’offerta di logistica (di fatto, i corrieri) era già sotto stress prima della pandemia, figuriamoci adesso. Possiamo restringere a 4 le cause; da una parte sempre più richiesta, quindi volumi di merce, con la necessità di garantire livelli di servizio per consegne sempre più rapide. Dall’altra, un numero di destinazioni totalmente polverizzato, con una dimensione media di spedizione piccola o addirittura piccolissima. Da impazzire!
Oltre a intasare le strade, che impatto hanno tutte queste consegne sulla città?
L’e-commerce, e di conseguenza la logistica, è l’attività che in questo momento chiede sempre più spazio fisico in città.
È un rapporto interessante: i fenomeni digitali e la loro ricaduta fisica nei cambiamenti urbani. Cosa vedi come possibili azioni?
Le situazioni di deregulation oggi sono ovviamente un grosso rischio. Agire significa prendere il fenomeno nel suo nervo scoperto: l’efficienza, con la creazione o il riuso di spazi per la logistica più piccoli interni alle città. Per ridurre i costi di distribuzione finale: perché oggi i costi sono alle stelle. Significa – per l’operatore – andare incontro a un risparmio.
Cosa può fare il soggetto Pubblico?
Le città, anche in Italia, ma soprattutto all’estero – penso, soprattutto, a Parigi e Londra – hanno sviluppato già da tanti anni politiche ad-hoc per la gestione della logistica urbana, e continuano a farlo in modo – direi, sempre più – intelligente. Ma in tante altri contesti, anche capoluoghi, non esiste alcuna misura.
Per stare qui vicini, Vicenza e Padova ad esempio hanno investito da tempo su questi temi: cosa ha funzionato fino ad ora?
Qui da tempo le merci arrivano all’esterno della città con mezzi più grandi, vengono organizzate e spedite verso i centri con mezzi meno inquinanti per ridurre i viaggi. Hanno funzionato, stanno funzionando. Significa, perlomeno, confermare queste direzioni e avviare scelte più coraggiose per affrontare ora le sfide dell’ultimo, o meglio, ultimissimo miglio
Come i lockers – i punti di ritiro self-service che vediamo in giro già da diversi anni: sempre loro?
Sì, ma in una versione nuova e diffusa, con sistemi di consegna diversificati, dall’impiego di cargo bike piuttosto che di un ritiro diretto da parte dell’utente finale. Lo so che vuoi farmi parlare di droni, ma non lo farò.
Va bene…non ti chiedo ancora dei droni. Parliamo invece dei “player monopolisti”: c’è il pericolo che non stiano in queste logiche?
Il tema è quello, per il soggetto pubblico, di “prendere il toro per le corna”. Capire che il fenomeno è inevitabile e va finalmente regolato nel suo complesso, in un ambiente sensibile come quello urbano. Serve un approccio pro-attivo dell’amministrazione, come accade sempre più nei casi europei che citavo.
In che senso pro-attivo?
È necessario intervenire e dettare regole valide per tutti. Oggi, ad esempio, i locker sono di fatto prevalentemente di proprietà privata, in quanto il settore è di norma de-regolato – spesso addirittura per volontà stessa dell’amministrazione! E le spedizioni sono “gratis”. Perché i grandi player ci stanno di fatto regalando la logistica. Ma questo, per un disegno chiaro: domani – dopo aver preso tutto il mercato dell’e-commerce e fatto fuori la concorrenza tradizionale – potrebbero ricablibrare i costi e i tempi di consegna. E probabilmente far pagare cara la logistica. Molto cara.
Con conseguenze sul commercio tradizionale – soprattutto i centri commerciali, e di prossimità: è un retail apocalypse, una fine annunciata la loro?
No! Non si tratta di un reale antagonismo, ma di ripensare il commercio tradizionale in funzione di un nuovo sistema di relazione tra l’utente e il prodotto comprato on-line.
Pensi a queste “stazioni diffuse” della logistica in città che dicevi prima? Possono diventare dei negozi della logistica?
Esatto. Questi micro-hub della logistica possono essere spazi del commercio che mischiamo le due cose; negli Stati Uniti non sono mica tanto micro, peraltro. Spazi per l’e-commerce che generano flussi a sostegno di un commercio più tradizionale che si re-inventa in funzione di questo. Questa è una prospettiva interessante, se pensiamo alla relazione tra spazi della prossimità, anche del commercio, e coesistenza con tendenze di acquisto on-line, che sono inevitabili.
Siamo pronti per affrontare questa sfida? Le città sono attrezzate?
Lo sviluppo del commercio on- line sicuramente ridisegnerà l’ambiente urbano, in un modo o nell’altro. È inevitabile: è uno dei fenomeni che più caratterizzano il nostro tempo – e nessuno pensa che smetterà di farlo. Il soggetto pubblico deve essere pronto a fare la sua parte, con intelligenza e responsabilità.
Illustrazione di copertina: Small Caps – “Enjoy pollution”